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martedì 31 dicembre 2019

RACCONTO DI CAPODANNO - Buzzati

Per accogliere il Nuovo Anno abbiamo scelto un piccolo racconto di Dino Buzzati.
Auguriamo a tutti voi possa essere un 2020 semplicemente speciale e a misura dei vostri sogni!


Tra poco, cominciando l'anno nuovo, qualcuno di voi forse riuscirà a udire la sua voce.
Gennaio in fin dei conti è un mese pressappoco uguale agli altri. Agli occhi degli uomini è invece il mese più importante; e l'importanza sta tutta nel principio, nel primo giorno, nella prima ora, nel suo primissimo minuto.



Dicono infatti che a mezzanotte in punto, nell'atto di venire al mondo, emetta una sua voce; e che da questa voce si possa capire che razza di annata seguirà.
Ma a mezzanotte c'è baccano. Crepitano l bottiglie di spumante, risate; grida, schiocchi di baci, petardi fuori nella via. E in tanto strepito si perde la voce misteriosa.


Ci sono, è vero, anche coloro che non fan baldoria; e pure questi sono svegli, quando gennaio arriva; se non altro per curiosità.
Magari si sono già ficcati in letto e di qui tendono le orecchie; ma udire non potranno perché intorno, nelle case e nelle vie, gli altri fanno festa.


No, nemmeno negli ospedali e nelle carceri, dove solitamente a mezzanotte regna un tetro silenzio, neppure nelle corsie e nelle celle vigilate da lugubri lumini, la voce viene udita; perché, quando l'anno nuovo comincia, la vita anche là dentro si riaccende, e pazze voci di augurio si rispondono di letto in letto, da un'inferriata all'altra.


Quando sono terminati i dodici rintocchi della mezzanotte, un anno muore ed uno nasce.
Gli uomini fanno festa e gli echi delle risate, del frastuono e degli scoppi raggIungono anche i luoghi più trIstI e nascostI, diffondendo ovunque speranza ed allegria.


Tutti si scambiano auguri e nessuno ode la voce che non si può distinguere e che rappresenta il mistero di ciò che ci serberà il futuro.

Ti è qui rivelata una verità profonda e colma di saggezza: è meglio non sapere come sarà il domani per potersi abbandonare alla speranza.


E tu come accoglierai il nuovo anno? Quali speranze di cambiamento nutri per il 2020?
Raccontalo con un commento a questo blog!

sabato 28 dicembre 2019

200 anni di INFINITO

Mentre sta per chiudersi un anno, si arriva anche alla conclusione dell'anniversario della composizione di una delle più significative poesie che siano mai state scritte: l'INFINITO di Giacomo Leopardi.






Questo post vuole essere un omaggio alle parole di uno dei più grandi poeti mai esistiti e un invito, per chi volesse, a cimentarsi nella memorizzazione di questi versi o anche solo a farsi trasportare dai loro suoni e a naufragare dolcemente nel mare della fantasia.

Di seguito il link del piccolo spot trasmesso sulle reti RAI per rendere omaggio a questo componimento interpretato da diverse voci famose del mondo della musica e dello spettacolo (le riconosci?)
200 anni d'infinito - omaggio RAI

Raccontaci, con un commento, quali emozioni suscitano in te queste parole, scritte 200 anni fa, eppure ancora così attuali...
Possano essere, a chiusura di un anno, l'augurio che la cultura possa portarvi verso viaggi e mete senza confini in una dimensione di puro infinito.

mercoledì 25 dicembre 2019

AUGURI


Che questo Natale possa portarvi
pagine di momenti indimenticabili
e donarvi grandi emozioni.
AUGURI!

Vi ricordiamo che dal 27 dicembre
la biblioteca sarà aperta ogni giorno
dalle 9:00 alle 11:30

venerdì 20 dicembre 2019

CANTO DI NATALE - LO SPETTRO DI MARLEY - Dickens



Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell'appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant'oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.
Badiamo! non voglio mica dare ad intendere che io sappia molto bene che cosa ci sia di morto in un chiodo di porta. Per conto mio, sarei stato disposto a pensare che il pezzo più morto di tutta la ferrareccia fosse un chiodo di cataletto. Ma poiché la saggezza dei nostri nonni sfolgora nelle similitudini, non io vi toccherò con sacrilega mano; se no, il paese è bell'e ito. Lasciatemi dunque ripetere, solennemente, che Marley era morto com'è morto un chiodo di porta.
Sapeva Scrooge di questa morte? Beninteso. Come avrebbe fatto a non saperlo? Scrooge e il morto erano
stati soci per non so quanti anni. Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, unico amministratore, unico procuratore, unico legatario universale, unico amico, unico guidatore del mortoro. Anzi il nostro Scrooge, che per verità il triste evento non aveva fatto terribilmente spasimare, si mostrò sottile uomo d'affari il giorno stesso dei funerali e lo solennizzò con un negozio co' fiocchi.
Il ricordo dei funerali mi fa tornare al punto di partenza.
Non c'è dunque dubbio che Marley era morto. Questo mettiamolo bene in sodo, se no niente di maraviglioso potrà scaturire dalla storia che son per narrarvi. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre d'Amleto è morto prima che s'alzi il sipario, la sua passeggiatina notturna su pei bastioni al vento di levante non ci farebbe maggiore effetto della bisbetica passeggiata di un qualunque attempato galantuomo il quale se n'andasse di notte in un posto ventoso — il cimitero di San Paolo, poniamo — pel solo gusto di sbalordire la melansaggine del proprio figliuolo.
Scrooge non cancellò dall'insegna il nome del vecchio Marley. Parecchi anni dopo, leggevasi sempre sulla porta del magazzino: "Scrooge e Marley". La ditta era nota per Scrooge e Marley.
Seguiva a volte che qualche novizio agli affari desse a Scrooge ora il nome di Scrooge e ora quello di Marley; ma egli rispondeva a tutti e due.
Per lui era tutt'una cosa.




Oh! ma che stretta sapevano avere le benedette mani di cotesto Scrooge! come adunghiavano, spremevano, torcevano, scuoiavano, artigliavano le mani del vecchio lesina peccatore! Aspro e tagliente come una pietra focaia, dalla quale nessun acciaio al mondo aveva mai fatto schizzare una generosa scintilla; chiuso, sigillato, solitario come un'ostrica. Il freddo che aveva di dentro gli gelava il viso decrepito, gli cincischiava il naso puntuto, gli accrespava le guance, gli stecchiva il portamento, gli facea rossi gli occhi e turchinucce le labbra sottili, si mostrava fuori in una voce acre che pareva di raspa. Sul capo, nelle sopracciglie, sul mento asciutto gli biancheggiava la brina. La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio né giorni canicolari; non lo scaldava di un grado a Natale.
Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona diScrooge. L'estate non gli dava calore, il rigido inverno
non lo assiderava. Non c'era vento più aspro di lui, non c'era neve che cadesse più fitta, non c'era pioggia più inesorabile. Il cattivo tempo non sapeva da che parte pigliarlo. L'acquazzone, la neve, la grandine, il nevischio, per un sol verso si potevano vantare di essere da più di lui: più di una volta si spargevano con larghezza: Scrooge no, mai.
Nessuno lo fermava mai per via per dirgli con cera allegra: "Come si va, caro il mio Scrooge? a quando una vostra visita?" Né un poverello gli chiedeva la più piccola carità, né un bambino gli domandava che ore fossero, né uomo o donna, una volta sola in tutta la vita loro, si erano rivolti a lui per informarsi della tale o tal'altra strada.
Perfino i cani dei ciechi davano a vedere di conoscerlo; scorgendolo di lontano subito si tiravano dietro il padrone in una corte o in un chiassuolo. Poi scodinzolavano un poco, come per dire: "Povero padrone mio, val meglio non aver occhi che avere un mal occhio!"
Ma che gliene premeva a Scrooge! Meglio anzi, ci provava gusto. Sgusciare lungo i sentieri affollati della vita, ammonendo la buona gente di tirarsi in là, era per Scrooge come per un goloso sgranocchiar pasticcini.
Una volta — il più bel giorno dell'anno, la vigilia di Natale — il vecchio Scrooge se ne stava a sedere tutto affaccendato nel suo banco. Il tempo era freddo, uggioso, tutto nebbia; e si sentiva la gente di fuori andar su e giù, traendo il fiato grosso, fregandosi forte le mani, battendo i piedi per terra per scaldarseli. Gli orologi del vicinato avevano battuto le tre, ma era già quasi notte, se pure il giorno c'era stato. Dalle finestre dei negozi vicini rosseggiavano i lumi come tante macchie sull'aria grigia e spessa. Entrava la nebbia per ogni fessura, per ogni buco di serratura; e così densa era di fuori che, ad onta dell'angustia del vicoletto, le case dirimpetto parevano fantasmi. Davvero, quella nuvola scura che scendeva e scendeva sopra ogni cosa faceva pensare che la Natura, stabilitasi lì accanto, avesse dato l'aire a una sua grande manifattura di birra. L'uscio del banco era aperto, per dare agio a Scrooge di tenere d'occhio il suo commesso, il quale, inserito in una celletta più in là, una specie di cisterna, attendeva a copiar lettere. Scrooge non aveva per sé che un fuocherello; ma tanto più misero era il fuocherello del commesso, che pareva fatto di un sol pezzo di carbone. Né c'era verso di accrescerlo, perché la cesta del carbone se la teneva
Scrooge con sé; e quando per caso il commesso entrava con in mano la paletta, issofatto il principale gli faceva capire che sarebbe stato costretto a dargli il benservito.
Epperò lo scrivano si avvolgeva al collo il suo fazzoletto bianco e ingegnavasi di scaldarsi alla fiamma della candela: il che, per non essere egli un uomo di gagliarda immaginazione, non gli riusciva né punto né
poco.



— Buon Natale, zio! un allegro Natale! Dio vi benedica!
— gridò una voce gioconda. Era la voce del nipote di Scrooge, piombato nel banco così d'improvviso che
lo zio non lo aveva sentito venire. — Eh via! — rispose Scrooge — sciocchezze! —
S'era così ben scaldato, a furia di correre nella nebbia e nel gelo, cotesto nipote di Scrooge, che pareva come affocato: aveva la faccia rubiconda e simpatica; gli lucevano gli occhi e fumava ancora il fiato.
— Come, zio, Natale una sciocchezza! — esclamò il nipote di Scrooge. — Voi non lo pensate di certo.
— Altro se lo penso! — ribatté Scrooge. — Un Natale allegro! o che motivo hai tu di stare allegro? che diritto? Sei povero abbastanza, mi pare.
— Via, via — riprese il nipote ridendo. — Che diritto avete voi di essere triste? che ragione avete di essere uggioso? Siete ricco abbastanza, mi pare. — Scrooge, che non avea pel momento una risposta migliore,
tornò al suo "Eh via! sciocchezze."
— Non siate così di malumore, zio — disse il nipote.
— Sfido io a non esserlo — ribatté lo zio — quando s'ha da vivere in un mondaccio di matti com'è questo. Un Natale allegro! Al diavolo il Natale con tutta l'allegria!
O che altro è il Natale se non un giorno di scadenze quando non s'hanno danari; un giorno in cui ci si trova
più vecchi di un anno e nemmeno di un'ora più ricchi; un giorno di chiusura di bilancio che ci dà, dopo dodici mesi, la bella soddisfazione di non trovare una sola partita all'attivo? Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto "allegro Natale" in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!
— Zio! — pregò il nipote.
— Nipote! — rimbeccò accigliato lo zio, — tieniti il tuo Natale tu, e lasciami il mio.
— Il vostro Natale! ma che Natale è il vostro, se voi non ne fate?
— Vuol dire che così mi piace, e tu non mi rompere il capo. Buon pro ti faccia il tuo Natale! E davvero che te
n'ha fatto del bene fino adesso!
— Di molte cose buone sono stato io a non voler profittare, quest'è certo — rispose il nipote; — e il Natale fra l'altre. — Ma il fatto è che io ho tenuto sempre il giorno di Natale, quando è tornato – lasciando stare il rispetto dovuto al suo sacro nome, se si può lasciarlo stare – come un bel giorno, un giorno in cui ci si vuol bene, si fa la carità, si perdona e ci si spassa: il solo giorno del calendario, in cui uomini e donne per mutuo accordo pare che aprano il cuore e pensino alla povera gente come a compagni di viaggio verso la tomba e non già come ad un'altra razza di creature avviata per altri sentieri.
Epperò, zio, benché non mi abbia mai cacciato in tasca la croce di un soldo, io credo che il Natale m'abbia
fatto del bene e me ne farà. Evviva dunque il Natale! —
Il commesso non si seppe tenere dall'applaudire dal fondo della sua cisterna; ma, subito accortosi del marrone, si diè ad attizzare il fuoco e riuscì ad estinguere l'ultima scintilla.
— Un altro di cotesti rumori dalla vostra parte — disse Scrooge — e ve lo darò io il Natale con un bravo benservito. Sei davvero un parlatore coi fiocchi — sopraggiunse volgendosi al nipote. — Mi sorprende che non ti ficchino in Parlamento.
— Non andate in collera, zio. Orsù, vi aspettiamo domani sera a pranzo. —
Scrooge rispose che piuttosto lo volea vedere all'inf... Sì davvero, la disse tutta la parola. Allora, forse, avrebbe accettato l'invito.
— Ma perché? — esclamò il nipote. — Perché?
— Perché diamine ti sei accasato? — domandò Scrooge.
— Perché ero innamorato.
— Perché eri innamorato! — grugnì Scrooge, come se cotesta fosse l'unica cosa al mondo più ridicola di un allegro Natale. — Buona sera!
— Ma voi, zio, non siete mai venuto a trovarmi prima. Perché mo' vi appigliate a cotesto pretesto?
— Buona sera, — disse Scrooge.
— Niente voglio da voi; niente vi chiedo: perché non dobbiamo essere amici?
— Buona sera, — disse Scrooge.
— Mi fa pena, proprio, di trovarvi così ostinato. Tra noi non ci sono mai stati dissapori, ch'io ci abbia avuto colpa. Ho voluto fare questa prova in onore di Natale, e il mio buonumore di Natale lo serberò fino in fondo. Buon Natale dunque zio mio!
— Buona sera, — disse Scrooge.
— E buon principio d'anno per giunta!
— Buona sera, — disse Scrooge.
Il nipote se n'andò.
Né il nipote si lasciò sfuggire di bocca una sola parola dispettosa. Andò via tranquillo e si fermò un momento alla porta esterna per fare i suoi auguri al commesso, il quale, gelato com'era, aveva però addosso più calore di
Scrooge, perché cordialmente li ricambiò.
— Eccone un altro — borbottò Scrooge che l'aveva udito:
— il mio commesso, con quindici scellini la settimana, moglie e figliuoli, che parla di buon Natale. Mi chiuderò nel manicomio. —
Cotesto lunatico intanto, facendo uscire il nipote di Scrooge, aveva introdotto due altre persone. All'aspetto
ed ai modi erano gentiluomini: si cavarono il cappello e s'inchinarono a Scrooge. Avevano in mano fogli e quaderni.
— Scrooge e Marley, credo? — disse uno de' due guardando a una sua lista. — Ho io l'onore di parlare al signor Scrooge o al signor Marley?
— Il signor Marley — rispose Scrooge — è morto da sette anni. Morì sette anni fa, proprio questa notte.
— Non dubitiamo punto — riprese a dire quel signore, presentando le sue credenziali — che la sua liberalità abbia nel socio sopravvivente un degno rappresentante.
—Così senz'altro doveva essere; perché i due soci erano stati come due anime in un nocciolo. Alla malaugurosa parola "liberalità" Scrooge aggrottò le ciglia, crollò il capo e restituì le credenziali.
— In questa gioconda ricorrenza, signor Scrooge — disse quel signore, prendendo una penna, — è più che mai desiderabile il raccogliere qualche tenue soccorso per la povera gente sulla quale ricade tutto il rigore della stagione. Ce n'ha migliaia che mancano dello stretto necessario; centinaia di migliaia cui fa difetto il menomo benessere. — Non ci sono prigioni? — domandò Scrooge.
— Molte anzi — rispose l'altro posando la penna.
— E gli Ospizi? gli hanno chiusi forse?
— No davvero; così si potesse!
— Sicché il mulino de' forzati e la legge su' poveri son sempre in vigore?
— Sempre, ed hanno anche un gran da fare.
— Oh! io avevo temuto alle vostre prime parole, che qualche malanno avesse rovinato coteste utili istituzioni, — disse Scrooge. — Mi fa piacere di sentire il contrario.
— Mossi dal pensiero che esse non procacciano alla moltitudine un qualunque benessere cristiano di anima o di corpo — rispose quel signore — alcuni di noi si danno attorno per raccogliere un tanto da comprare ai poveri un po' di cibo e un po' di carbone. Scegliamo quest'epoca, come quella in cui il bisogno è più acuto e l'abbondanza rallegra. Per che somma volete che vi segni?
— Per niente! — rispose Scrooge.
— Vi piace serbar l'anonimo?
— Mi piace non essere disturbato. Poiché lo volete sapere, signori miei, ecco quel che mi piace. Per conto
mio, non mi do bel tempo a Natale, né voglio fornire ai fannulloni i mezzi di darsi bel tempo. Pago la mia brava quota per gli stabilimenti che sapete: costano di molto: chi non sta bene fuori, ci vada.
— Molti non possono, e molti altri preferirebbero la morte.
— Se così è, si servano pure — disse Scrooge; — scemerebbe di tanto il soverchio della popolazione. In fondo poi, scusatemi, io non ne so niente.
— Non vi riuscirebbe difficile di saperlo — osservò l'altro.
— Non è affar mio — ribatté Scrooge. — È già molto che ci si raccapezzi negli affari nostri, senza immischiarci in quelli degli altri. I miei mi pigliano tutta la giornata. Buona sera, signori! —
Vista l'inutilità di ogni altra insistenza, i due gentiluomini si accomiatarono. Scrooge si rimise al lavoro, molto contento del fatto suo e di più lieto umore che mai non fosse stato.



Intanto la nebbia e le tenebre si facevano così fitte che degli uomini armati di torce correvano per le vie, profferendosi a far da guide alle carrozze. La vecchia torre di una chiesa, la cui campana arcigna pareva guardare a Scrooge dall'alto della sua finestra gotica, divenne invisibile e prese a suonare le ore e i quarti nelle nuvole con un certo prolungato tremolio come se i denti le battessero. Il freddo infierì. Alla cantonata alcuni operai, intenti a restaurare i tubi del gas, avevano acceso un gran fuoco in un braciere, e intorno a questo una mano di uomini e di ragazzi cenciosi s'era raccolta: si scaldavano le mani e battevano le palpebre alla fiamma, beati. La fontanina, abbandonata a sé stessa, s'incoronava malinconicamente di ghiacci. I lumi delle botteghe, dove i ramoscelli di agrifoglio crepitavano al calore delle fiamme, facevano
rosseggiare le facce pallide dei passanti. Le mostre dei pollaioli e dei salumai erano mostre davvero; e così
splendide, da parere quasi impossibile che la volgarità del comprare e del vendere ci avesse niente che vedere. Il lord Mayor, nella sontuosità fortificata del suo palazzo, impartiva ordini ai suoi cinquanta cuochi e canovai perché si festeggiasse il Natale come s'addice alla casa di un lord Mayor. E perfino il sartuccio, da lui multato di cinque scellini il lunedì avanti per essere andato attorno ubriaco e assetato di sangue, si dava da fare nella sua soffitta per preparare il pranzetto del giorno appresso, mentre la moglie magrina con in collo la bimba andavano fuori a comprare il pezzo di carne che ci voleva.


E cresceano la nebbia ed il freddo! Un freddo pungente, tagliente, mordente. Se il buon San Dustano, lasciando le solite sue armi, avesse un po' carezzato il naso dello Spirito maligno con un tempo di quella fatta, è certo che lo avrebbe fatto strillare come un'aquila. Il proprietario
di un miserabile nasetto, rosicchiato dal freddo famelico come un osso dai cani, si fermò davanti allo studio di Scrooge per allietarne l'inquilino con una canzonetta natalizia; ma alle prime parole: Dio vi tenga, o buon signore, Sano il corpo e allegro il core...
Scrooge die' di piglio alla riga con tanta furia che il cantore scappò atterrito, lasciando libera la porta alla nebbia e alla gelata, meglio adatte al luogo che il canto non fosse.
Arrivò l'ora finalmente di chiudere il banco. A malincuore Scrooge smontò dal suo sgabello, dando così un
tacito segno al commesso, il quale soffiò subito sulla candela e si pose il cappello.
— Mi figuro — disse Scrooge — che la giornata di domani la vorrete tutta, eh?
— Se vi piace, signore.
— Non mi piace punto e non è giusto. Se vi risecassi per questo una mezza corona, scommetto che vi riterreste trattato male, non è così? —
Il commesso sbozzò un debole sorriso.
— Eppure — proseguì Scrooge — a voi non vi pare che io sia trattato male, quando sborso il salario di una giornata per niente. —
Il commesso notò che si trattava di una volta all'anno.
— Bella scusa per cacciar le mani nelle tasche d'un galantuomo ogni 25 di dicembre! — esclamò Scrooge abbottonandosi il pastrano fin sotto il mento. — Vada per tutta la giornata, poiché così ha da essere. E badate almeno a trovarvi qui più presto del solito doman l'altro!
— Il commesso promise, e Scrooge se n'uscì grugnendo.
Detto fatto, il banco fu chiuso, e il commesso, co' capi del fazzoletto bianco che gli pendevano fin sotto al farsettino (pastrano non ne sfoggiava) se n'andò a fare una sdrucciolata sul ghiaccio dietro una brigata di monelli, in onore della vigilia di Natale, e poi diritto a casa a Camden Town per giuocare a mosca cieca.
Scrooge fece il suo malinconico desinare nell'usata malinconica osteria. Dié una scorsa a tutti i giornali e si
sprofondò nel suo squarcetto, ammazzò la serata e si avviò a casa per mettersi a letto. Abitava un quartiere, o meglio una sfilata di stanze, già un tempo proprietà del socio defunto, in un vecchio e bieco caseggiato che si nascondeva in fondo ad un chiassuolo. Davvero, quel caseggiato in quel posto non si sapeva che vi stesse a fare: si pensava, mal proprio grado, che da bambino, facendo a rimpietterelli con altre case, si fosse rincattucciato lì e non avesse più saputo venirne fuori. Oramai s'era fatto vecchio ed arcigno. Non ci abitava che Scrooge: tutte le altre stanze erano date via in fitto per studi di commercio. Era così buio il chiassuolo, che lo stesso Scrooge, pur conoscendolo pietra per pietra, vi brancolava.. La nebbia incombeva così spessa davanti alla porta scura della casa, da far credere che il Genio dell'inverno stesse lì a sedere sulla soglia, assorto in una lugubre meditazione.
Ora, certo è che il picchiotto della porta, oltre ad essere massiccio, non aveva in sé niente di speciale. È anche certo che Scrooge, da che abitava lì, l'aveva visto mattina e sera; E lo stesso Scrooge, inoltre, era dotato di così temperata fantasia quanto alcun'altra persona nella City di Londra, compresi, con rispetto parlando, tutti i membri del corpo municipale. Si badi altresì a questo che Scrooge non aveva pensato un sol momento a Marley, dopo averne ricordato la morte, quel giorno stesso avvenuta sette anni addietro. E dopo di ciò, mi spieghi chi vuole come seguisse che Scrooge, ficcata che ebbe la chiave nella toppa, vide nel picchiotto, da un momento all'altro, non più un picchiotto, ma il viso di Marley…


lunedì 16 dicembre 2019

WAITING FOR CHRISTMAS


Forse avrai sentito parlare dei romanzi d'appendice, erano racconti diffusi intorno al 1800, estratti pubblicati "a puntate" sui quotidiani che permettevano di leggere storie senza dover comprare e leggere l'intero libro.


Ispirandoci a questa tradizione, vi proponiamo un estratto di un capolavoro, ambientato nel periodo natalizio, che ha fatto crescere piccoli e grandi sognatori.
Il testo completo e altri a tema sono disponibili in biblioteca.


Cogliamo l'occasione per lanciare un invito e una sfida...

Se anche tu hai scritto un piccolo racconto invernale o ambientato nel clima natalizio, puoi farlo conoscere scrivendolo in un commento a questo post...


Saremo lieti di leggerlo e apprezzare il talento di nuovi giovani scrittori come te!

sabato 7 dicembre 2019

7 DICEMBRE - Fiera degli OH BEJ ! OH BEJ !


La fiera degli Oh bej! Oh bej! è il mercatino tipico del periodo natalizio milanese. Si tiene generalmente dal 7 dicembre, giorno di Sant'Ambrogio - il santo patrono della città - fino alla domenica immediatamente successiva.


A Milano, Sant’Ambrogio è molto importante e la fiera degli Obej Obej è in assoluto il mercatino più visitato dell’anno.

Si tratta di una delle più antiche tradizioni milanesi: le prime origini storiche risalgono al 1288, periodo in cui una festa in onore di Ambrogio si svolgeva nella zona dell'antica Santa Maria Maggiore.


Ma le origini dell'attuale festa risalgono al 1510 e coincidono con l'arrivo in città di Giannetto Castiglione, che era stato incaricato dal pontefice Pio IV di recarsi a Milano, nel tentativo di riaccendere la devozione e la fede verso i Santi da parte dei cittadini ambrosiani.
Arrivato nei pressi della città, Giannetto ebbe il timore di non venire accolto con favore dalla popolazione milanese, la quale non aveva mai manifestato forti simpatie nei confronti del Papa.
E così, per conquistare la gente, decise di far preparare un gran numero di pacchi, riempiti con dolciumi e giocattoli.
Entrato a Milano iniziò con il suo seguito a distribuire i doni portati ai bambini milanesi, i quali si erano radunati intorno al corteo insieme ad una gran folla di cittadini.
Il corteo raggiunse la Basilica di Sant'Ambrogio attorniato da una folla festante. Oh bej oh bej era il grido di gioia dei bambini che, di fronte a quei regali, esclamavano in dialetto Belli! Belli!

Da allora si cominciò ad organizzare, nel periodo della festa dedicata ad Ambrogio, la fiera degli Oh bej! Oh bej! Venivano allestite bancarelle di vestiti, vecchi  giocattoli, e soprattutto di prodotti gastronomici.



Tipici dell'epoca, insieme con mostarde e castagnaccio, erano i firòn: castagne affumicate al forno, bagnate di vino bianco e infilate in lunghi spaghi.


Inizialmente gli Oh bej! Oh bej! si svolgevano presso la Piazza dei Mercanti, in seguito fu trasferita nella zona adiacente la Basilica di Sant'Ambrogio, dove rimase per 120 anni fino al 2006 e da lì fu nuovamente spostata nella zona del Castello Sforzesco (Foro Bonaparte), dove tutt'oggi è organizzata.








Oggi sulle bancarelle ambulanti degli Oh bej! Oh bej! si puo' trovare di tutto, dai dolciumi ai prodotti etnici e di artigianato da tutto il mondo. Le bancarelle si allineano su un percorso di oltre 1200 metri.



Hai mai sentito parlare di questa leggenda? Hai mai partecipato a questa fiera? Gli Oh bej oh bej sono una delle tante tradizioni locali, ne conosci altre? Condividi le tue impresa con un commento a questo post!